Carissima S. e blog.
.... strade polverose e sconnesse; carretti che avanzavano lentamente, trainati da cavalli stanchi; Eugenio, il
carrettiere, col suo carretto trainato dal suo cavallo, veniva dalle valli dove aveva caricato la " torba",
raccolta nelle torbiere ai piedi di Arquà Petrarca.
Questo primitivo combustibile veniva
portato nei magazzini, dove veniva trasformato in mattonelle, che alimentavano
il fuoco delle stufe e dei forni delle case e delle botteghe della città. Eugenio cominciava la sua giornata,
alzandosi allo spuntare dell'alba. La prima cosa che faceva era quella di
strigliare il suo ronzino; lo dissetava e gli dava il fieno; caricava la biada
sul carro che gli serviva per il viaggio; si metteva un pezzo di pane nero
nella tasca rattoppata della giacca e iniziava il suo lungo giorno di lavoro
che terminava all'imbrunire. Quando il sole cominciava a calare dietro i colli,
ritornava verso casa. La città brulicava di gente, artigiani commercianti, avventori, ragazzini che passavano il
pomeriggio a giocare in piazza e sul ponte della pescheria e lungo la piccola salitella del vecchio ponte fatto a dorso di mulo, che univa le due sponde del canale
"Bisatto", un piccolo ostacolo che faceva rallentare i carri e
il passo ai viandanti, punto naturale di osservazione di carri e persone che
venivano in paese, dalla valle.Era uno dei giochi preferiti dai ragazzini, attendere l'arrivo dei carretti e salire con un salto
sul bordo del carro. si attaccavano alle sponde del carro e si facevano scarrozzare seduti dietro, per poi
ridiscendere, quando arrivava in cima al ponte, divertendosi alle grida e
alle frustate del conducente al povero cavallo. Il carrettiere che non gridava mai era Eugenio, per questo nella mia mente è rimasto il ricordo del suo
sorriso, del suo cappello scuro e del sigaro che perennemente aveva tra le
labbra. Durante l’inverno, la strada bianca che
veniva dalle valli verso la città, era piena di buche e l’acqua, d'inverno quelle buche si ghiacciavano. Per i ragazzi era un divertimento guardare le ruote
dei carri quando vi passavano sopra, perché dal rumore del ghiaccio che si rompeva, significava se era o non era abbastanza solido, perr chiedere ai loro papà di mettere i chiodi ( le “brocche” ) sotto gli zoccoli per
andare a scivolare (issegare) sui fossi ghiacciati, con l'accorgimento prima di entrarci di saggiare la loro portata,
gettando con forza dei sassi dentro, che se non rompevano la crosta
ghiacciata, voleva dire che si poteva tranquillamente andare a “issegare”.
In estate, un altro gioco che si faceva a quei
tempi, ma che poi non era proprio un gioco, era quello di attendere
l'arrivo delle donne che provenivano dai campi delle valli o da Arquà, cariche di cesti di ciliegie, fichi, mele,
giuggiole, uva, tutti frutti di stagione, vestite di nero, con sottane lunghe,
zoccoli e un fazzoletto in testa, sempre di colore scuro, esse arrivavano cariche e
curve dalla fatica, perché avevano sulle spalle un arco di legno, con alle due
estremità due uncini, un attrezzo chiamato "bigoo"; dove ai due uncini erano attaccati i cesti della frutta coperti da tovaglioli., perché non prendessero la polvere e presentarli sani e belli puliti al mercato. I ragazzi avevano inventato una delle loro monellerie che faceva divertire,
aumentare in destrezza e mangiare qualche buon frutto. Questa furberia si faceva in due, si andava incontro alla donna che avanzava, stanca sulla via e si piazzavano uno da un lato e uno dall'altro. Mentre un compagno salutava la donna per distrarla, lei si girava verso di lui, l'altro alzava il fazzoletto e prendeva la frutta
dal cesto e poi via di corsa a cercare un luogo tranquillo, dove sudati,
tremanti e senza fiato, seduti sugli scalini dell’argine del canale si consumava il frutto proibito.
Buio al mattino
e buio alla sera,
accompagnavano la giornata
di lavoro dei carrettieri,
una faticaccia vera.
Venivano dalla valle
che portava ad Arqua Petrarca,
con il carro riempito di torba,
il combustibile usato allora per riscaldare,
con una sola fermata per bere e riposare,
perché la strada era in salita,
prima di arrivare, da cavallo e carrettiere,
all'osteria, la meta ambita.
L'ostacolo più grande era
oltrepassare il ponte sul fiume - canale Bisatto,
dove oltre alla fatica, trovava il ladruncolo
che gli rubava un pezzo di torba
saltando sul carro furtivo come un gatto.
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