giovedì 15 novembre 2018

Giovedì 15 novembre 2018 

Carissima S. e blog.
                                 rivedo  la mia via con la strada acciottolata, la mia casa con la stufa a legna per cucinare e per riscaldarci, l'acqua andavo quasi sempre io, a prenderla dalla pompa pubblica a un centinaio di metri da casa. Il gabinetto era in un piccolo cortile sul retro della casa, vicino alla gabbia dei conigli. Confinavo con dei vicini gentili e buoni con i quali condividevo la miseria. Nella maggior parte delle famiglie, gli uomini facevano lavori saltuari di giornata in giornata; le donne accudivano alla casa, si inventavano cosa far da mangiare ogni giorno, ma per lo più al mattino: era caffè fatto con l'acqua e poco orzo, spesso anche con il brodo della verdura cotta il giorno prima; a mezzogiorno erano patate e polenta per mio padre e mie fratelli più grandi, mentre io e la maggior parte dei miei compagni, quando terminavamo la scuola, correvamo all'ECA, l'Ente Comunale di Assistenza, dove ci davano una minestra, uno spicchio di formaggio o una scatoletta di tonno, poi di nuovo di corsa ritornavamo al Convento dei Frati, dove alle due distribuivano una pagnotta di pane nero a testa; la cena era sempre polenta e patate, ma io preferivo grattare le croste di polenta della pentola (el calliero) che mamma usava per farla. Nella mia via c'erano una sessantina di numeri civici con  delle famiglie che stavano abbastanza bene, che mangiavano, alla domenica o nelle feste grandi, carne e pane bianco. Tra queste c'era la famiglia del mio padrone di casa che faceva il macellaio, poi c'era anche un altro macellaio che aveva una numerosa famiglia che aveva sedici figli; c'era una maestra, un maresciallo dell'aeronautica, un operaio della SADE - la Società distributrice dell'Energia Elettrica, un falegname, un barbiere, un sarto, un ciabattino, un venditore di roba usata, un meccanico di biciclette, ma la maggior parte erano tutti poveri come me e anche se in famiglia c'era qualcuno che lavorava, i soldi erano talmente pochi che non bastavano per sfamarsi e comperare qualche paio di scarpe, un vestito, una camicia o un paio di pantaloni, io portavo sempre la roba usata che mi veniva regalata dalle famiglie benestanti che ho citato sopra, come spesso la mamma mi rappezzava i pantaloni e mio padre mi inchiodava dei pezzi di copertone sulle suole delle scarpe, ricordo che si diceva: 'meio un tacon che un sbrego'..........


Avevo sempre fame,
quante volte ho desiderato
mangiare quel pane 
bianco e caldo, del quale
sentivo l'odore, che usciva 
dai forni dei fornai,
o il profumo delle paste 
della pasticceria Dal Din,
 quando andavo la mattina presto
a rispondere a Messa 
a San Paolo.
La mia vita era piena di desideri,
come mangiare, vestire bene.
 Desideravo divenire grande in fretta
per andare via da casa 
a cercare lavoro condividere 
tutte queste cose
con la mia famiglia.


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