mercoledì 21 novembre 2018

Mercoledì 21 novembre 2018

Carissima S. e blog.
                                 
                                In un tempo ormai lontano, la ricchezza, la casa, il benessere erano raccontati come fiabe, tramandate e ascoltate nelle stalle, alla radio, nei cinema e nelle commedie. Così le fiabe della vita sono state assimilate, desiderate, sognate. Sogni che hanno accompagnato il vissuto nei tristi passaggi del tempo di guerra e del dopoguerra. Anni di miseria nera, che hanno indotto a cercare, di fare divenire le fiabe una realtà. Per questo motivo, le fiabe hanno spinto ad emigrare in cerca di un lavoro, che permettesse di migliorare la vita e di trasformare le fiabe e i sogni in realtà.  Per una trentina di anni, Interi paesi della nostra bella Italia si sono spopolati, i campi sono stati abbandonati, perché la terra non bastava per vivere. È iniziato l’esodo dalle campagne alla ricerca del benessere nelle città del Nord Italia e all’estero. Intere famiglie sono andate verso le fabbriche del Settentrione, dove era iniziata una nuova era, quella industriale. Anche gli abitanti di Monselice, pur essendo nel Nord, pur essendo rimasti legati alla campagna, perché la politica di allora, faceva fatica ad accettare l’era industriale, non si sono sottratti alla lusinga e al miraggio dei soldi che potevano guadagnare nelle fabbriche della Lombardia e del Piemonte. Milano e Torino, hanno accolto molti Monselicensi  e tanti Veneti, oltre che gli abitanti del Meridione d’Italia. Molti altri giovani, compresi quelli di Monselice, si sono anche imbarcati al Porto di Genova, per raggiungere i parenti emigrati ancora nell’800 nelle Americhe e in Australia. Questi sono i motivi della decadenza monselicense, che invece di una città, dotata di  strade e  di una ferrovia importanti, invece di accogliere l’industria, si è ancorata alla terra, rimanendo così un grosso paesotto di campagna.
    La città  di Monselice era piena di artigiani e commercianti, il mercato del lunedì e il mezzo mercato del venerdì, erano molto fiorenti, frequentati anche da affaristi che venivano da altre città. Approfittavano dell’importante stazione ferroviaria,  personaggi di ogni tipo, che facevano affari con i contadini che venivano dalla campagna circostante a vendere i loro prodotti in città, per poi spendere il denaro nelle numerose botteghe del centro storico. A quel tempo la città, attraverso la saggezza contadina, aveva un Municipio ben amministrato da Sindaci, che erano ben disposti nei riguardi dei contadini. Tutti i Sindaci che si sono succeduti in quelli anni, non hanno mai avuto problemi di denaro, perché incamerava buoni introiti, attraverso  le tasse e l’Ufficio del Dazio. Per questo motivo in città c’erano gli Uffici Imposte e Tasse,  Catasto e Registro, la Stazione dei Carabinieri, della Finanza e le Guardie Comunali. Monselice era dunque una città appetibile per tutto il mondo che aveva a che fare con l’Agricoltura, che veniva in città, si fermava e spendeva, non di rado alcuni acquistavano  anche casa e risiedevano stabilmente, perché la città, offriva scuole superiori per i loro figli, era dotata di servizi, quali Ospedale, Energia Elettrica e Telefono Pubblico, con la ferrovia e un crocevia di importanti strade che il forestiero poteva andare dappertutto. Naturalmente , dove c'era movimento di persone, c’erano alberghi, locande, trattorie, osterie, cinema, sale da ballo e quant'altro, per rallegrare il loro soggiorno in città.



Te me si cara
Come ‘na perla rara
Mosselese de antico vestia
In ogni strada e in ogni via
E quando ca passo
Ndando a spasso
Revedo la storia
Che la me torna in memoria
De la to zente
Dei visi e dei nomi
Dei siori e dei poareti
Parchè na volta
Tuti se conosseva
E ne le strade se viveva
Da quando se nasseva
Fin quando la morte vegneva
Insieme se sé godeva
Se magnava e se beveva
Se barufava e se pianseva
Se se iutava e se sé voleva ben
Nei momenti bei e in te queli bruti
Né i matrimoni e né i luti.

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