venerdì 30 novembre 2018

Venerdì 30 novembre 2018 

Carissima S. e blog.
                                  Oggi termina un altro mese, fra pochi giorni sarà Natale, il ricordo più bello che ho nel cuore, che mi aiuta incessante, con la sua  presenza nella mia mente, mi è compagno di strada in questo soggiorno. Esso mi guida e mi appiana la via, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, verso l'arrivo al traguardo, dove spero di trovare il dono che Egli mi ha preparato. Mi sono svegliato stamattina con questi pensieri che  mi aiutano e mi avvicinano all'AVVENTO. Non posso dimenticare il tempo nel quale ero lontano da casa e che bramavo questo tempo per fare ritorno a  rivedere, riabbracciare i miei cari, fedele al detto: 'Natale con i tuoi....Pasqua con chi vuoi'. Oggi mi mancano l'euforia del ritorno e gli abbracci degli affetti familiari. Essi hanno tagliato il  traguardo e attendono il mio arrivo. Questi vi sembreranno pensieri tristi, ma invece per me sono desideri gioiosi, che mi accompagnano nel giusto cammino.... Un  cammino che mi ha fatto incontrare amici, con i quali condivido il passare del tempo nella lettura di vicende umane, a volte fantasiose, altre che si avvicinano alla vita reale. Quando mi incontro con quest amici e scambio i  miei pensieri, con i loro, dimentico il tempo che passa e mi riempio di gioia.

Buona giornata!


Oh! Che bello!
La fantasmagoria delle luci natalizie, 
tra il buio e le ombre della notte.
Annunciano il tempo del dono,
del sorriso, della gioia.
Corrono e rincorrono sogni e desideri,
tra i banchetti dei mercatini
per fare felici
grandi e piccini.

W il tempo di Natale.




giovedì 29 novembre 2018

Giovedì 29 novembre 2018 

Carissima S. e blog.
                                oggi tralascio di scrivere i miei ricordi, per ricordare le tante care persone, che ho accompagnato in questi giorni all'ultima dimora, ma anche per celebrare un bell'anniversario . Nel 1918, al termine della seconda Guerra mondiale,  in un paesino del rodigino, nasceva Giuseppe Trevisan. Un caro signore, divenuto nel tempo, specialmente in questi ultimi anni un  mio caro amico con il quale condivido la mia passione per la scrittura. Giuseppe, oggi 29 novembre 2018, compie 100 anni. Pertanto, a lui, il mio grazie e gli AUGURI per il suo secolo di vita. A lui sono grato, perché mi ha incitato a dedicarmi alla scrittura dialettale. Giuseppe è stato Maestro elementare, combattente e prigioniero nella seconda Guerra mondiale, Geometra che ha curato i siti religiosi della città,  è stato Sindaco  di Monselice e ha scritto molti libri di ricordi, in particolare sulla sua vita e sulle vicende di prigionia nella II Guerra mondiale. Giuseppe Trevisan, il Maestro come mi piace chiamarlo, ha una buona memoria, e nonostante la fatica di fare movimento, desidera uscire di casa e andare al bar, dove può incontrare la gente. Oggi però, per la città è anche un giorno di lutto, perché è deceduto un grande artista monselicense,  Fabio Rossato, una delle figure più originali ed eclettiche del fisarmonicismo internazionale. Vincitore di importanti concorsi internazionali fin dall'età di dodici anni, conquista nel 1991 il primo premio assoluto al “Concorso Mondiale C.M.A. di Stoccarda”. Risale a questo periodo il suo incontro con Astor Piazzolla avvenuto a Tulles in occasione del tradizionale festival fisarmonicistico dove, invitato da Richard Galliano come giovane vincitore dell’ultima edizione del Trofeo Mondiale, ebbe il privilegio di suonare per il maestro che stupito dal talento e dalla matuità interpretativa dell’allora giovanissimo artista, dedicò a Rossato e alla fisarmonica Tre Preludi. Egli è morto a soli 48 anni e aveva ancora molto da dare all'arte e tenere alto il nome della città. Con  grande rammarico condoglianze alla famiglia.

Buona giornata!

La vita e la morte
sono due cose
che ci sono state donate, 
alle quali non ci
possiamo sottrarre, 
perché prima o poi
non tardano ad arrivare.
Nessuno è esente da questa
ineluttabile evenienza, 
ed è per questo  che scrivo 
anche queste cose tristi,
per ricordare e mai dimenticare.




mercoledì 28 novembre 2018


Mercoledì 28 novembre 2018

Carissima S. e blog.
                                 ...era il tempo in cui gli abitanti di Monselice, come del resto quelli di tutta Italia, avevano voglia di ricominciare a vivere, dopo i lunghi anni di guerra, di privazioni, di sofferenza e di morte. Tutti si sono rimboccati le maniche per riparare le proprie case distrutte dai bombardamenti. Anche noi ragazzini siamo ritornati a scuola, nella vecchia scuola di via Garibaldi, che era sta occupata per farne un ospedale militare, ma disinfettata e ripulita dall'odore acre delle ferite e della morte, era pronta per accoglierci. Il luogo era sempre lo stesso che era abbandonato dall'inizio della seconda guerra mondiale, le solite grandi aule, i banchi di legno con il calamaio, la cattedra rialzata da terra, la lavagna, i grandi finestroni che facevano passare la luce, ma che da seduti non si poteva vedere fuori, solo la maestra che quando ci parlava, rimaneva in piedi, fumava e ogni tanto guardava i giocatori di calcio del vicino campo sportivo.A quel tempo la  scuola elementare era solo maschile, le femminucce frequentavano la scuola "delle suore". Era ancora l'epoca, nella quale dappertutto, i luoghi pubblici erano distinti tra  quelli dei maschi e quelli delle femmine, specialmente in chiesa. Nella Scuola maschile Vittorio Emanuele, le classi erano  numerose, anche classi da trenta scolari, con alunni di diverse età, anche con due o tre anni di differenza. Molti di noi non vedevano l'ora di sentire la campanella della fine della scuola per correre all'E.C.A. per arrivare primi a mettersi in fila per mangiare. Dopo aver mangiato, di nuovo di corsa al Convento dei frati, dove veniva distribuita la  pagnotta di pane nero. In quest'ultimo luogo,  mi sembra di sentire l'odore della siepe di bosso, che mi piace ancora e che putroppo non lo sento e non lo trovo più in nessun luogo.

Buona giornata!

Tutta un'altra vita,
povera, ma felice, 
piena di sogni e desideri,
che cerco di ricordare, 
ma che la vita stessa
mi ha fatto dimenticare.
Chissà se sono riuscito
a realizzarne qualcuno...
Credo di sì... anche se la vita
mi ha condotto per vie traverse.
I sogni e i desideri
no  sono più tali se si riesce a realizzarli,
ma spesso rimangono  solo in quel mondo, 
dove se ben ricordo, c'erano :
semplicità,forza, gioia e sorrisi 
a volontà.


martedì 27 novembre 2018

Lunedì 26 novembre 2018
                   
Carissima S. e blog.

                               LUOGHI E PERSONE  NEGLI ANNI ’50 – ‘60

   Mentre scrivo, i ricordi riaffiorano prepotenti e pieni di nostalgia alla mia mente, rivedo i luoghi della mia giovinezza: via Moraro e tutte le famiglie povere, ma dignitose di questa mia via, con le case a schiera, una attaccata all’altra per circa trecento metri di strada che va dal Ponte della Pescheria al Ponte delle Grolle ( a quel tempo questo era solo una passerella di legno): - Mamma Giuditta, la quale portava a spalle in strada i figli Bruno e Giannino paralitici dalla nascita, perché la loro casa era sotto il livello della strada;  la numerosa famiglia di Gioacchino e Bianca Soloni; il nostro padrone di casa Erminio Ruzzante; i miei vicini il maresciallo Vestidello e la famiglia Bertazzo; i Piva, pescatori nel canale Bisato e soprannominati “Ciaciarete”; i Fabris; i Masiero; la maestra Nicolosi; i miei inseparabili compagni Bruno Francescon, Luciano Bin, Giancarlino e Eros Gabellotto, Antonio Cardi, Gianni il rosso; la famiglia Fabiani di cui un figlio è stato molto tempo in Belgio e l’altro era soprannominato “Fugna”; Severino il meccanico di “mosquito” e sua sorella Cesira; e tutti gli altri numerosi abitanti di quella modesta via, che anche se non li ho nominati,perché non li ricordi tutti, sono rimasti e sempre saranno nel mio cuore.  

Buona giornata!

CALICANTUS

Il meriggio s'inclina
Rosso è il sole dietro la collina
Ritorno sui miei passi
Nella stradina dei sassi
A casa devo tornare
Poiché veloce vien la sera
Sulla strada del ritorno
Odoro l'aria che sa di primavera
Il calicantus è sbocciato
Giallo e profumato
Ai bordi del canale
Increspa l'acque il maestrale
E  le chiome del papiro
Sono accarezzate
Dalla brezza
Quasi abbracciate
Tutto d'un tratto
Il mio sguardo è attratto
Dalla Rocca illuminata
Da una luce bianca
E scorgo la sagoma del mastio opacizzata
Mi fermo guardo incantato
Riscopro le antiche mura
Liberate dall'avvolgente natura .




Martedì 27 novembre 2018 

Carissima S. e blog.
                                  Continuo con il ricordo dei luoghi, mestieri e persone del dopoguerra
.....la Piazza con i tavolini del caffè “Beduin”; il caffe Commercio, dove nei giorni di mercato, si riunivano i mediatori detti “sensai”, di foraggi, campi, mucche, case, uva, granaglie e tutte le altre cose commerciabili, ricordo Girotto, i fratelli Canazza, Bertazzo; in quel caffè nel pomeriggio, si riunivano, per la quotidiana partita a carte o a chiacchierare, molti commercianti, avvocati e impiegati pubblici; ricordo le fabbriche di caramelle Dal Din e Navarra, che riempivano l’aria di profumo di zucchero, che si mischiava con l’odore del vino della cantina di Simone, la bottega di alimentari di Zuccarello, dove mia madre mi mandava a fare la spesa con il libretto, dove venivano segnati gli importi degli acquisti e che venivano pagati solo quando papà lavorava e guadagnava qualcosa; la farmacia all’Ospedale, le macellerie: Soloni, Pietrogiovanna, Pittore e Ruzzante, l’odore della colla della selleria di Smania, il buon profumo di pane dei fornai: De Marco, Raffagnato (baeta), la Maria fornara, le botteghe di frutta e verdura: Seccati, Ziron, Albina e Rosina, Cervellin, i profumi della cucina della Stella d’Italia che mi riempivano lo stomaco con il loro odore, dove lavorava Olga, la mamma di Bruno, l’odore del piombo delle Tipografie Bottaro e Burchiellaro, l’edicola Marinetti, che forniva di quotidiani e altri giornali tutte le rivendite dei dintorni, la bottega di Regazzoni, dove si trovava e si trova tuttora qualsiasi cosa, le osterie:Brugiolo, Vendramin, Temporin, Marinetti, Canola, Regazzoni e i Tre scalini, la gelateria della Idra, il fotografo Zangrossi, la botteghe di elettricità di Bevilacqua, Pegoraro, Pitteo, lo storico caffè pasticceria Dal Din, che emanava un profumo così dolce da farmi svenire, le botteghe di mercerie e abbigliamento di Checco e Lena Bonaventura, delle famiglie Temporin e degli Scarso, le botteghe di scarpe: Parisotto, Berlin, Moriani e Zaghi, il  quale faceva anche il calzolaio, come pure i fratelli Gabellotto, le orologerie – occhialerie dei Roveroni, i Dall’Angelo e i Merletti; la Banca Popolare e la Cassa di Risparmio; le Poste sotto la Loggetta, il Municipio, accostato alla chiesa di san Paolo, con la  sua maestosa scalinata e il grande tavolo di marmo, dove ci rifugiavamo quando pioveva o quando il sole bruciava, le capanne sul retro della chiesa di san Paolo, la cava della Rocca, dove sono state scavate le “masegne” di trachite che hanno fatto belle molte piazze italiane, e dopo è diventato un campo di tiro al volo; sotto il Municipio c’era il comando dei Vigili Urbani, la bottega di “straganasse” del papà di Vinicio Seccati e il tabaccaio, a fianco dell’altra scalinata di san Paolo c’era la Premiata Farmacia chimica del dott. Farini e nella piazza  la Farmacia Braggion, le botteghe dei barbieri Fabris, Barison, Piereto, le sartorie di Fermo, Severino del quale ammiravano la bravura e la sua virile cordialità, e Zordan, il quale aveva anche una bel negozio di vestiti da uomo. Non mi dilungo , rischierei di dimenticare ancora qualche attività, che ormai è solo nei ricordi di quelli che hanno la mia età, perché quasi tutte sono sparite con l’avvento dei supermercati e dei centri commerciali. L’Isola o Piazza xx Settembre, il luogo dove si giocava a “pindeche, ai serci, al giro d’Italia, a tegna, a cucco ecc…” e tutti gli altri giochi che ogni dì ci inventavamo; in Isola c’era la “pompa”, cove andavo ad attingere l’acqua con dei secchi più grandi di me; e la famiglia delle belle sorelle Brandelli, la Giovanina con il liquirizia, la sede della SADE, la società di elettricità; in Isola abitavano altri amici, come Tiozzo, Gittoi, Marchioro, Crivellaro, Baldo, Favaretto, e dove c’era il famoso albero di fico con le meravigliose “smoche”, nelle quali il  padrone Ruzzante aveva versato la “violapa” per farci un dispetto; quanti episodi vorrei ancora raccontare, ma sono stati da me già scritti in un piccolo volumetto in lingua veneta, di qualche anno fa. Un pensiero a parte va alle “ bande” di noi ragazzini, che giocavamo alla guerra con fionde, archi e frecce, noi del Moraro eravamo alleati con quelli dell’Isola, contro quelli della Piazza, di via Squero, del Carrubbio e di san Martino. Ce le davamo di santa ragione, ma poi ci ritrovavamo tutti al Patronato san Sabino o al Cinema Roma; un pensiero va anche agli amici Gianni e Felicino Bellinetti e a tutti i fiorentini che abitavano in Villa Nani; un ricordo particolare lo merita anche il Novalba dancing, dove abbiamo imparato i primi “ rock and roll”, al suono della musica che da esso proveniva, perché non avevamo né l’età per entrare e neanche i soldi per il biglietto; molti di noi, compreso io, facevamo i chierichetti nella chiesa di San Paolo, al Duomo Vecchio e nella chiesa di san Martino. Qui abbiamo conosciuto tanti buoni preti che ci volevano bene e anche loro, come del resto i nostri genitori, ci hanno educati al rispetto delle persone e delle cose; altri luoghi che sono cari alla memoria di tanti sono: lo Scaloncino, lo Scalone, via san Martino, il Campo della Fiera, le Scuole Elementari di via Garibaldi, il collegio Poloni, con le tante ragazzine che erano in convitto e che spiavamo dagli alberi o dalle fessure dei  portoni, dove riecheggiavano le grida dei gioiosi giochi che facevano durante la ricreazione; e ancora, mi ritornano in mente i volti dei miei compagni, degli amici, dei parenti e delle persone, che in un modo o nell’altro, incontravo ogni giorno, nelle vie, nelle piazze o nei luoghi che frequentavo, ma mi fermo, per non rischiare di sbagliare qualche nome e qualche volto che il tempo, purtroppo mi ha fatto dimenticare.


Dal Montericco, nel buio, 
con la Rocca in mezzo alla città
mi appari in tutta la tua beltà
Monselice!
Le luci e la nebbiolina
ti donano fascino e mistero
memoria del tuo passato guerriero.
Del nemico l'arrivo, dal  mastio vedevi,
con lo sguardo all'orizzonte lontano, 
sempre pronta alla difesa,
ma presa fosti solo con l'inganno.



domenica 25 novembre 2018

Domenica 25 novembre 2018

Carissima S. e blog.
                                 ......solo il passato ci appartiene (da un pensiero di Seneca), traggo spunto per parlare della della vecchiaia, perché è in questa stagione che oggi mi trovo. 
Quando siamo vecchi abbiamo paura di guardarci allo specchio, perché vediamo quante rughe abbiamo. Sentiamo acciacchi di qua e di la ogni mattina. Non vogliamo sentire parlare di vecchiaia, ma in fondo cerchiamo la compagnia dei nostri pari età. Parliamo volentieri del passato e dei nostri amici che ci hanno lasciato e speriamo che la nostra ora sia sempre più lontana. Forse ho scritto altre volte che partecipo spesso alle cerimonie funebri. A volte mi sento dire: ...ma chi te lo fa fare... ma io continuo ad andare ai funerali, come in questa settimana, nella quale ho partecipato alle Sante Messe esequiali di amici e conoscenti: Ines -Feliciano - Paola - Flora - e nei prossimi giorni, cioè domani e martedì andrò ai funerali di: Fabio - Aniceto - Franca, per il resto della settimana leggero le epigrafi, come faccio di solito quando passo vicino alle bacheche funebri.  Ecco, per citare ancora il  vecchio Seneca ...il presente e il futuro per noi9 vecchi non esistono.

Ecco un luogo vecchio
nel quale poso volentieri
lo sguardo,
Non è un disegno, ma la bellezza
che ci è stata lasciata
dai vecchi.
Ecco il presente che spero
di potere vedere a lungo...
la mia città.

sabato 24 novembre 2018

Sabato 24 novembre 2018 

Carissima S. e blog.
                            .... strade polverose e sconnesse;  carretti che avanzavano lentamente, trainati da cavalli stanchi; Eugenio, il carrettiere, col suo carretto trainato dal suo cavallo, veniva dalle valli dove aveva caricato la " torba", raccolta nelle torbiere ai piedi di Arquà Petrarca.
Questo primitivo combustibile veniva portato nei magazzini, dove veniva trasformato in mattonelle, che alimentavano il fuoco delle stufe e dei forni delle case e delle botteghe della città. Eugenio cominciava la sua giornata, alzandosi allo spuntare dell'alba. La prima cosa che faceva era quella di strigliare il suo ronzino; lo dissetava e gli dava il fieno; caricava la biada sul carro che gli serviva per il viaggio; si metteva un pezzo di pane nero nella tasca rattoppata della giacca e iniziava il suo lungo giorno di lavoro che terminava all'imbrunire. Quando il sole cominciava a calare dietro i colli, ritornava verso casa. La città brulicava di gente, artigiani commercianti, avventori, ragazzini che passavano il pomeriggio a giocare in piazza e sul ponte della pescheria e lungo la piccola salitella del vecchio ponte fatto a dorso di mulo, che univa le due sponde del canale "Bisatto", un piccolo ostacolo che faceva rallentare i carri e il passo ai viandanti, punto naturale di osservazione di carri e persone che venivano in paese, dalla valle.Era uno dei giochi preferiti dai ragazzini, attendere l'arrivo dei carretti e salire con un salto sul bordo del carro. si attaccavano alle sponde del carro e si facevano scarrozzare seduti dietro, per poi ridiscendere, quando arrivava in cima al ponte, divertendosi alle grida e alle frustate del conducente al povero cavallo. Il carrettiere che non gridava mai era Eugenio, per questo nella mia mente è rimasto il ricordo del suo sorriso, del suo cappello scuro e del sigaro che perennemente aveva tra le labbra. Durante l’inverno, la strada bianca che veniva dalle valli verso la città, era piena di buche e l’acqua, d'inverno quelle buche si ghiacciavano. Per i ragazzi era un divertimento guardare le ruote dei carri quando vi passavano sopra, perché  dal rumore del ghiaccio che si rompeva, significava se era o non era abbastanza solido,  perr chiedere ai loro papà di mettere i chiodi ( le “brocche” ) sotto gli zoccoli per andare a scivolare (issegare) sui fossi ghiacciati, con l'accorgimento prima  di entrarci  di saggiare la loro portata, gettando con forza dei sassi dentro, che se non rompevano la crosta ghiacciata, voleva dire che si poteva tranquillamente andare a “issegare”.
In estate, un altro gioco che  si faceva a quei tempi, ma che poi non era proprio un gioco, era quello di attendere l'arrivo delle donne che provenivano dai campi delle valli o da Arquà, cariche di cesti di ciliegie, fichi, mele, giuggiole, uva,  tutti frutti di stagione, vestite di nero, con sottane lunghe, zoccoli e un fazzoletto in testa, sempre di colore scuro, esse arrivavano cariche e curve dalla fatica, perché avevano sulle spalle un arco di legno, con alle due estremità due uncini, un attrezzo chiamato "bigoo"; dove ai due uncini erano attaccati i cesti della frutta coperti da tovaglioli., perché non prendessero la polvere e presentarli sani e belli puliti al mercato.  I ragazzi avevano inventato una delle loro monellerie che faceva divertire, aumentare in destrezza e mangiare qualche buon frutto. Questa furberia si faceva in due, si andava incontro alla donna che avanzava, stanca sulla via e  si piazzavano uno da un lato e uno dall'altro. Mentre un compagno salutava  la donna per distrarla, lei si girava verso di lui, l'altro alzava il fazzoletto e prendeva la frutta dal cesto e poi via di corsa a cercare un luogo tranquillo, dove sudati, tremanti e senza fiato, seduti sugli scalini dell’argine del canale si consumava il frutto proibito.



Buio al mattino 
e buio alla sera,
accompagnavano la giornata
di lavoro dei carrettieri,
una faticaccia vera.
Venivano dalla valle 
che portava ad Arqua Petrarca,
con il carro riempito di torba,
il combustibile usato allora per riscaldare, 
con una sola fermata per bere e riposare,
perché la strada era in salita,
prima di arrivare, da cavallo e carrettiere,
 all'osteria, la meta ambita.
L'ostacolo più grande era
oltrepassare il ponte sul fiume - canale Bisatto,
dove oltre alla fatica, trovava il ladruncolo
che gli rubava un pezzo di torba
saltando sul carro furtivo come un gatto.




venerdì 23 novembre 2018

Venerdì 23 novembre 2018

Carissima S, e blog.
                                per i ragazzi della Città della Rocca, la scuola, la chiesa, i cinema, erano i luoghi più importanti del dopoguerra. La vecchia Scuola Elementare Vittorio Emanuele è ben salda in piedi. Essa durante la guerra è stata adibita ad Ospedale militare, nel dopoguerra ha accolto gli sfollati del Polesine, che si sono salvati dall'alluvione del Po, ma sopratutto, nelle sue grandi aule,  ha udito il vociare di tante generazioni di scolari e di molti maestri, che in  quegli anni potevano dare qualche tirata d'orecchi ai più monelli, ciò che ora se si azzardano a farlo si prendono delle legnate dai genitori dei bambini. La Chiese, in particolare San Paolo e il Duomo Vecchio ( la Pieve di Santa Giustina) aveva i suoi preti, le canoniche, con i campanari che facevano suonare le campane, con le quali i chierichetti si divertivano....Anche la bella Chiesa di San Martino, che era la Chiesa delle cerimonie funebri, aveva la sua canonica e il relativo campanaro, mentre le altre numerose chiesette della città, erano per lo più aperte per le sagre di quartiere, ma anche lì, non di rado, c'erano dei poveri cristi, che ne avevano fatto le loro dimore e le sorvegliavano. Un paio di chiese in particolare: la Chiesa di San Biagio e San Luigi, sono diventate per lungo tempo dei cinema , in quella di San Biagio c'era il cinema Italia e in quella di San Luigi il cinema Corallo, mentre gli altri cinema - teatro erano il Cinema Roma e poi il Cinema Astoria. Purtroppo da  molti decenni la città non ha più né un cinema, né un teatro, nonostante ci siano molti appassionati cinefili e alcune compagnie di teatro, che entrami sono costretti a recarsi nei paesi vicini, che anche se hanno pochi abitanti hanno la loro sala per fare le loro belle serate di teatro. Invece le nostre chiese o sono chiuse, o vengono usate per qualche concerto una tantum, mentre la Chiesetta di San Biagio e divenuta sede della Biblioteca Comunale.

Buona giornata!


Le scuole elementari Vittorio Emanuele
da generazioni  sono sempre quelle
come lo è la casa di riposo, mentre
sono scomparse e trasformati altri siti
come  "Briseghello" , il luogo odoroso
dove ghiaccio e camomilla si fabbricava
e profumati odori emanava
Ricordo anche la vecchia Pretura,
la famiglia "Stainer" con la casa scura,
il forno a legna
che del suo pane l’aria era pregna,
c’è ancora il campo di calcio
con l’odore del primo sfalcio,
invece non c’è più la caserma dei pompieri,
coi rossi camion e i cappelli neri,
l'ufficio di collocamento
con il lavoro a esaurimento,
il mobilificio di "Toso",
l'osteria alla Pretura con il suo antro fumoso
dei sigari aspirati dai poveri vecchi,
con gli sguardi assorti e quasi biechi,
appoggiati ai neri tavoli di legno
col vino nei bicchieri,
c’era il comando dei "Carabinieri"
del quale andavamo fieri.
Tanti ricordi lasciati
al loro destino in declino,
come il vecchio patronato san Sabino.




giovedì 22 novembre 2018

Giovedì 22 novembre 2018

Carissima S,e blog.
                               
                       .......fuori le mura della città di Monselice, scorre il fiume Bisatto, che nasce nel Lago di Fimon nel territorio di Vicenza. Il fiume è sempre stato ricco di pesci, in particolare del pesce gatto (barbon), ma molto ricco anche di carpe, raine, tinche, girasoli e piccoli pesci (pessaree), bisatti, gamberi, nei mesi invernali si pescavano anche lucci. Il fiume rilasciava le sue acque anche nei fossi che servivano per irrigare i campi e in questi si pescavano le rane. C’erano molti pescatori che pescavano per diletto e organizzavano anche delle gare  di pesca sportiva. Il fiume però era, per i pescatori di professione, come gli uomini della famiglia Piva (ciaciarete) una fonte di guadagno. Essi partivano prima dell’alba con le loro barche e si facevano luce con i fanali alimentati a carburo. A metà mattina ritornavano con il pescato, che riempivano delle cassette, che caricavano sulle loro biciclette e giravano per il paese al grido: ‘ done riva el pessaro....pesse done...’. D’estate sudavano e d’inverno giravano coperti di una giacca senza tabarro. Nella bella pescheria vicino al Ponte, appunto chiamato Ponte della pescheria, c’erano i pescivendoli che commerciavano il pesce  di mare. Nel dopoguerra, essi partivano con le barche all’alba e si recavano, navigando sul canale Battaglia e sul Vigenzone e su altri canali, a Chioggia per andare al mercato del pesce di quella rinomata località del mare Adriatico. Negli anni 50 il progresso ha cambiato il modo di viaggiare, chi con la moto, chi con la macchina e i furgoncini, la merce, anche il pesce, veniva procurata con questi mezzi, più veloci delle barche, che naturalmente non sono state più usate.



Te me si cara
Come ‘na perla rara
Mosselese de antico vestia
In ogni strada e in ogni via
E quando ca passo
‘Ndando a spasso
Revedo la storia
Ca la me torna in memoria
De la to zente
Dei visi e dei nomi
Dei siori e dei poareti
Parchè ‘na volta
Tuti se conosseva
E ne le strade se viveva
Da quando se nasseva
Fin quando la morte vegneva
Insieme se sé godeva
Se magnava e se beveva
Se barufava e se pianseva
Se se jutava e se sé voleva ben
Nei momenti bei e in te queli bruti
Pa i matrimoni e pa i luti.









mercoledì 21 novembre 2018

Mercoledì 21 novembre 2018

Carissima S. e blog.
                                 
                                In un tempo ormai lontano, la ricchezza, la casa, il benessere erano raccontati come fiabe, tramandate e ascoltate nelle stalle, alla radio, nei cinema e nelle commedie. Così le fiabe della vita sono state assimilate, desiderate, sognate. Sogni che hanno accompagnato il vissuto nei tristi passaggi del tempo di guerra e del dopoguerra. Anni di miseria nera, che hanno indotto a cercare, di fare divenire le fiabe una realtà. Per questo motivo, le fiabe hanno spinto ad emigrare in cerca di un lavoro, che permettesse di migliorare la vita e di trasformare le fiabe e i sogni in realtà.  Per una trentina di anni, Interi paesi della nostra bella Italia si sono spopolati, i campi sono stati abbandonati, perché la terra non bastava per vivere. È iniziato l’esodo dalle campagne alla ricerca del benessere nelle città del Nord Italia e all’estero. Intere famiglie sono andate verso le fabbriche del Settentrione, dove era iniziata una nuova era, quella industriale. Anche gli abitanti di Monselice, pur essendo nel Nord, pur essendo rimasti legati alla campagna, perché la politica di allora, faceva fatica ad accettare l’era industriale, non si sono sottratti alla lusinga e al miraggio dei soldi che potevano guadagnare nelle fabbriche della Lombardia e del Piemonte. Milano e Torino, hanno accolto molti Monselicensi  e tanti Veneti, oltre che gli abitanti del Meridione d’Italia. Molti altri giovani, compresi quelli di Monselice, si sono anche imbarcati al Porto di Genova, per raggiungere i parenti emigrati ancora nell’800 nelle Americhe e in Australia. Questi sono i motivi della decadenza monselicense, che invece di una città, dotata di  strade e  di una ferrovia importanti, invece di accogliere l’industria, si è ancorata alla terra, rimanendo così un grosso paesotto di campagna.
    La città  di Monselice era piena di artigiani e commercianti, il mercato del lunedì e il mezzo mercato del venerdì, erano molto fiorenti, frequentati anche da affaristi che venivano da altre città. Approfittavano dell’importante stazione ferroviaria,  personaggi di ogni tipo, che facevano affari con i contadini che venivano dalla campagna circostante a vendere i loro prodotti in città, per poi spendere il denaro nelle numerose botteghe del centro storico. A quel tempo la città, attraverso la saggezza contadina, aveva un Municipio ben amministrato da Sindaci, che erano ben disposti nei riguardi dei contadini. Tutti i Sindaci che si sono succeduti in quelli anni, non hanno mai avuto problemi di denaro, perché incamerava buoni introiti, attraverso  le tasse e l’Ufficio del Dazio. Per questo motivo in città c’erano gli Uffici Imposte e Tasse,  Catasto e Registro, la Stazione dei Carabinieri, della Finanza e le Guardie Comunali. Monselice era dunque una città appetibile per tutto il mondo che aveva a che fare con l’Agricoltura, che veniva in città, si fermava e spendeva, non di rado alcuni acquistavano  anche casa e risiedevano stabilmente, perché la città, offriva scuole superiori per i loro figli, era dotata di servizi, quali Ospedale, Energia Elettrica e Telefono Pubblico, con la ferrovia e un crocevia di importanti strade che il forestiero poteva andare dappertutto. Naturalmente , dove c'era movimento di persone, c’erano alberghi, locande, trattorie, osterie, cinema, sale da ballo e quant'altro, per rallegrare il loro soggiorno in città.



Te me si cara
Come ‘na perla rara
Mosselese de antico vestia
In ogni strada e in ogni via
E quando ca passo
Ndando a spasso
Revedo la storia
Che la me torna in memoria
De la to zente
Dei visi e dei nomi
Dei siori e dei poareti
Parchè na volta
Tuti se conosseva
E ne le strade se viveva
Da quando se nasseva
Fin quando la morte vegneva
Insieme se sé godeva
Se magnava e se beveva
Se barufava e se pianseva
Se se iutava e se sé voleva ben
Nei momenti bei e in te queli bruti
Né i matrimoni e né i luti.

martedì 20 novembre 2018

Martedì 20 novembre 2018 

Carissima S. e blog.
                               
                                    di qua del Ponte della Pescheria, c’era il Cinema Roma, gli alberghi Cavallino e Stella d’Italia, in Isola(oggi Piazza XX Settembre) c’era la SADE la Società per l’energia Elettrica, la Tipografia Burchiellaro, la bella Riviera Belzoni con il Palazzo delle Due Scale, dove ha soggiornato il grande Egittologo  G.B. Belzoni, Villa Pisani e la via continuava per la Stazione Ferroviaria. La mia  Parrocchia di appartenenza era  al Duomo Vecchio o di Santa Giustina, dove c’era la Canonica dell’Abate Mitrato, ma la gente frequentava la Chiesa di San Paolo., perché era alle pendici del Colle della Rocca. La chiese di San Paolo era molto bella e aveva un grande organo, che per farlo funzionare si doveva pressare sul mantice, a questo servizio andavao spesso anche io e i miei compagni, l’organo era suonato dal maestro Egidio  Nardin. Ricordo che per salire all’organo dovevo scalare una scala molto ripida e attraversare una lunga sala, stretta e buia, dove c’erano tutte le insegne delle varie Confraternite, le vesti dei Cappati e alcune erano poste su dei manichini che mi facevano una gran paura, pertanto, la attraversavo di corsa per arrivare in fretta dove  c’era l’organo che c’era un po più di luce. Nella chiesa di san Paolo, si svolgevano molte Messe, ma  le cerimonie religiose importanti, come i Pontificali, si facevano al Duomo Vecchio. All’epoca tutta la vita religiosa della città e dei suoi fedeli cristiani, ruotava attorno a una parrocchia sola. La chiesa di san Paolo era la chiesa delle funzioni giornaliere, il Duomo vecchio era riservato alle funzioni domenicali e alle prediche durante il Tempo di Avvento e di Quaresima. Tra le chiese di Monselice, la chiesa di san Martino era la chiesa sempre aperta per i funerali,  mentre tutte le altre chiese  della città, come la chiesetta della Madonna del Carmine, san Biagio, san Tomìo o san Tommaso, san Luigi erano aperte durante le  feste dedicate al patrono della chiesa, con le rispettive sagre, esse venivano aperte un paio di volte all’anno. La mia gioia più grande era partecipare alle celebrazioni liturgiche, in particolare i Pontificali, nei quali potevo indossare la veste viola, che don Ioanon (don Giovanni Prosdocimi) ha fatto fare per i suoi chierichetti, io la portavo con orgoglio nella grande aula del Duomo Vecchio ( la Pieve di santa Giustina del 1200)
Poi, durante l’anno, in ogni tempo stabilito, andavo con il sacrestano (Rino campanaro) alla questua nelle famiglie della città e nelle vicine campagne. Spingevo  con fatica, un carretto che aveva le ruote ricoperte di uno strato di metallo,  per fortuna dopo qualche anno sono state messe delle ruote di gomma. Nel carretto i contadini donavano i prodotti dei loro campi, per il sostentamento del sacrestano, dei preti e della chiesa.


EL CINEMA TEATRO ROMA

Verso la fine dela
Seconda guera mondiale
Da “Pipo”
te sì sta bonbardà
Dopo pochi ani
I te ga ricostruìo
Pì belo de’ prima
E te ne ghe divertìo
‘Ncora par tanti ani
D’inverno te ne ghe scaldà
Nela sala dentro
E fora al cinema al’aperto
D’istà rinfrescà
Co’ l’arivo dela television
Pian pianelo te sì restà sensa paron
E lassà ‘ndare bandonà
sensa nessun de’ tì se  ga interassà
Calche ano fa
Co quatro colpi de’ ruspa
I te ga tirà zò
Noialtri vecioti a se ghemo trovà
Davanti de’ tì a darte l’adio
Alsando i goti co on brindisi
Sperando che magari pì picoleto
Te possi rinassare par devertirne
Ncora par calche aneto.
Nel dopoguera xe stà verto
Aanca un dacncing, na parola mericana
Par dire na sala da balo,
el se ciamava Novalba dancing.
Qua vegneva xente da tuti i paesi
A baare el Rock and Roll, ma che
Mi me piaseva ciamarlo Bughi Bughi,
A gero putyelo e no podeva  ndare drento
E me piaseva spiare e scoltare a musica.
Un co el se ciama Cavalin,
Dal nome dell’albergo, dove i bala ncora.







lunedì 19 novembre 2018

Lunedì 19 novembre 2018 

Carissima S. e blog.
                                 dal mio libro DIARIO IN VIOLA:
                                   
Altro tempo è passato e sono diventato più grande. Il cinema - teatro Roma è stato ricostruito ed ha ripreso a proiettare  film e a fare teatro di varietà. Io, al sabato e alla domenica, ho preso il posto dell’amico Gianni a vendere caramelle e bagigi al cinema, durante gli intervalli tra un tempo e l’altro delle proiezioni. Con questo lavoretto, guadagnavo qualcosa e potevo vedere i film gratuitamente, inoltre, prendevo anche qualche mancetta perché aiutavo la Gemma e Togna nelle pulizie del cinema, ed esse mi davano dei grossi cartocci di mozziconi di sigaretta, con i quali mio padre si faceva il tabacco per le sigarette.
Con le mance cominciai  a collezionare figurine e biglie ( pallinefatte con l’ argilla, preferibilmente di colore viola, che riponevo nella mia scatola di latta, dove tenevo tutti miei piccoli preziosi segreti, come la fionda, il querceto (tappo) con la fotografia di Gino Bartali per giocare al giro d’Italia con gli amici, un piccolo temperino e dei francobolli che trovavo attaccate alle buste che mamma portava a casa dagli uffici dove faceva le pulizie. Dentro alla scatola conservavo sempre, anche il guanto viola di Franz.


Forestiero
Che vieni da lontano
Quando i tuoi occhi vedono
Una collina
Con alla sommità
un torrione
A mezza costa
sette chiesette
Più giù
una chiesa antica
dei bei palazzi
un castello
e molte chiese e campanili
Fermati!
Sei arrivato a Monselice
la mia bella città.

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domenica 18 novembre 2018

Domenica 18 novembre 2018 

Carissima S. e blog. 
                                   Il 25 aprile 1945,  gli alleati americani e inglesi, sbarcarono in Italia e ci fu la liberazione, finalmente la guerra era finita. Nei giorni seguenti, a Monselice, dalla strada rovigana, cominciavano ad arrivare le lunghe colonne di soldati americani e inglesi. Nel centro della città, furono accolti  trionfalmente dalle autorità e dalla popolazione festante. I soldati piantarono le tende in piazza Ossicella, e io e i miei amici abbiamo incominciato ad andare da loro, e chiedere gallette, cioccolato e latte in polvere. La libertà, è il bene  più  prezioso, al quale ogni essere umano aspira, è con questo inestimabile valore, che gli alleati ci hanno ridato la vita e liberato la mia Monselice dal nemico. Subito dopo alcuni giorni, vengono riaperti negozi e attività artigianali. Vengono rimosse le macerie, anche quelle del cinema Roma. I resti dei soldati tedeschi ritrovati, furono portati al cimitero locale; in seguito, all’esterno della sue mura furono apposte delle croci bianche con i nomi dei soldati tedeschi uccisi durante il bombardamento.


UN POSTO MAGICO

Par noialtri toseti
Senpre  pieni de fantasia
Ghe ne jera uno par via
Dei posti sconti e maledeti
Dove se rifujavimo
Par contarse e par zugare
Uno el jera el marmo de altare
Nel canton tra le do scalinà
Del municipio e de la cesa
De san Paolo magico posto
Par i piassaroti e par queli
De le vie intorno bruti e beli
Che tuti lo voleva ad ogni costo
E fasevimo
Barufe e bote da orbi
Se davimo
Anca se jerimo grandi come sgorbi
A ghe la metevimo tuta
Par darsele de santa razon
E tornare a casa de scondon
Tuti roti e sgrafà
E ciapare el resto dai nostra popà.