Ogni tanto mi fermo perché preso da altre incombenze, come oggi che alle 16 e 30 sono al Castello per la presentazione di un libro di poesie del ns concittadino, ora abitante ad Este, Giacomo Mainardi. Inoltre verso le 17,30, vado all'inaugurazione della Loggetta restaurata e leggerò un mio pensiero poetico.
ora continuo con il diario! Un abbraccio e sempre grazie di cuore. Giancarlo
Ricordo la strada polverosa e sconnessa, i carretti
che avanzavano lentamente, trainati da cavalli stanchi. Eugenio, il carrettiere, veniva dalle valli,
dove aveva caricato la " torba", caricata nelle torbiere ai piedi di
Arquà Petrarca, doveva consegnarla agli opifici per trasformarla in mattonelle
che poi divenivano combustibile per stufe e forni. Eugenio partiva allo
spuntare dell'alba, strigliava il suo ronzino , lo dissetava e gli dava un pò
di fieno, caricava la biada, si metteva un pezzo di pane nero nella tasca rattoppata
della giacca e poi incominciava la lunga giornata che terminava all'imbrunire,
quando il sole calava laggiù nella valle.
Con i miei compagni passavo il pomeriggio a giocare
sul ponte della pescheria, la piccola salitella che portava al ponte fatto a
dorso di mulo che univa le due sponde del canale "Bisatto". Il ponte
faceva rallentare i carri e il passo ai viandanti, perciò ci veniva naturale
osservare le persone che venivano in paese da quella parte. Uno dei nostri
giochi , ma non proprio perché erano corbellerie, era attendere l'arrivo i
carretti e salire, con un balzo, dietro il carro stesso, per poi ridiscendere
quando arrivava in cima al ponte, il carrettiere che non s'arrabbiava mai pur
vedendoci, era Eugenio, per questo motivo mi è rimasto il suo bel ricordo.
Un'altra, delle piccole corbellerie, che usavamo
compiere in quei tempi, era attendere l'arrivo delle donne di Arquà, queste
arrivavano,
dalle loro
case sulle colline, cariche di cesti di fichi, di melograni, di giuggiole, di
uva, frutti che di volta in volta la stagione maturava. Queste donne erano
vestite di nero, con sottane lunghe, zoccoli e un fazzoletto in testa, sempre
di colore scuro, avevano sulle spalle una arco di legno che alle due estremità
aveva due uncini, noi lo chiamavamo "bigoo". A questi due uncini
erano attaccati i cesti della frutta, coperti da tovaglioli. Quello che noi
ragazzi avevamo inventato, era una delle monellerie che ci faceva divertire di
più, aumentare in destrezza e ci faceva mangiare qualche buon frutto. Di solito
eravamo in due, andavamo incontro alla donna che avanzava stanca sulla via, e
poi ci piazzavamo uno da un lato e uno
dall'altro, uno la salutava e nel mentre la donna si girava, l'altro gli
prendeva la frutta dall'altro cesto, e poi via di corsa, ancora tremanti, ad
assaporare il fresco frutto.
Nessun commento:
Posta un commento