venerdì 24 aprile 2015

una lettura d'altri tempi

Carissima S. e blog, mi è capitato tra le mani una lettere scritta nel 1837 da un certo Conte Magalotti, il quale era uno studioso della mente, oggi si chiamerebbe psicologo. Egli ha scritto qualchecosa che vuole dialogare con un cardinale, il quale naturalmente si riferisce all'anima. L'ho trovata molto simpatica e curiosa per il modo di scrivere in quell'epoca. Buona giornata!
 
 
“L’anima della quale aveva a esser forte più della bizzarria”
DALLE LETTERE
DEL CONTE LORENZO MAGALOTTI
E
 
DALLE DISSERTAZIONI
DEL CARDINAL  GERDIL
VENEZIA
MDCCCXXXVII
Esame d’altre operazioni e proprietà dell’anima malamente adattabili alla materia. Che quella fiera naturale inadattabilità dell’intelletto a concepir qualche cosa, che non sia materia, non è dettame di ragione, ma pregiudizio di consuetudine. Vantaggio in ammettere ad eterno anzi Dio che la materia. 
 
***
A me pare che non solamente vi sieno alcune operazioni dell’intelletto umano, che non possono reggersi in un’anima materiale, ma che ne siano certe, dirò soprintellettuali, le quali abbiano la lor sede in una parte più spirituale del medesimo spirito, la quale venga a essere quasi spirito e quintessenza di spirito, non di uno spirito rappreso e congelato in un corpo d’anima materiale, qual si sognò quel Venanzio Vittore, confutato da s, Agostino, ma d’uno spirito vero vero spirito, sul quale ne galleggi un’altro più leggiero, più volatile, in somma più eterizzato.
***
Vi è una tragedia inglese, nella quale s’introduce un tiranno, che avendo incaricato un suo vecchio capitano di un’impresa, l’anima della quale aveva a esser forte più la bizzarria, che la condotta, e quegli essendosi scusato con gli anni, che non lo facevano più esser in caso a certe esecuzioni, il tiranno gli risponde: Io t’ho sempre per l’addietro creduto un brav’uomo, ma ora mi accorgo che il bravo debb’essere stato il tuo corpo, e che il tuo animo è stato un poltrone, quel poco ch’egli ha fatto di buono a’ suoi giorni, avendolo fatto a favor del sangue e degli spiriti giovanili. Ah la risposta è rozza, irragionevole, brutale; ma ella spiega a maraviglia quel che io voglio dire.
L’istesso s’osserva più manifestamente in tutte le operazioni dell’inventiva in tutti i generi. Di un pittore si darà più facilmente il caso ch’ei conservi da vecchio la giustezza dei contorni, che la grandezza della fantasia. Del poeta non  se ne discorre. Basti osservar l’Iliade e l’Odissea: quella tutta drammatica e piena d’azione, questa tutta racconti e novelle, che è proprio il genio e il carattere della vecchiaia, e si può dir ch’ella sia come il reflusso della mente d’Omero, che,  a guisa d’un grande oceano, si ritira e lascia in secco le spiagge.
Di questi dicadimenti e di queste mutazioni non è punto difficile il rinvenirne il perché; ed è tanto il coraggio, quanto la fantasia, ancorché siano disposizioni della mente, riseggono tuttavia in quella partesi essa, che si chiama immaginazione, la qual si può dire che abbia qualche segreta intelligenza col sangue e con gli spiriti animali, e si fa più calda e più fredda a misura di essi. Quindi l’immaginazione ne’ giovani è forte e vivace, perché il sangue, che le bolle sotto le somministra in abbondanza di quegli spiriti che, sollecitandola, la mettono in ardenza, e quest’ardenza, trasfusa nella mente e quivi assorbita, e spiritualizzata, fa il brio ne’ coraggiosi, e la bizzaria né pittori e né poeti.

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