domenica 26 aprile 2015

25 aprile



 


 Carissima S. e blog,  In occasione del 70° anniversario della fine della II Guerra Mondiale, scrivo alcune mie considerazioni su questo tragico evento che non mi ha visto protagonista, ma che ho vissuto da bambino. Al riguardo ho fatto delle ricerche su internet e ho trovato dei documenti che mi hanno fatto rivivere la mia povera infanzia. In particolar modo ricordo le panche di fredda terra del rifugio nella Cava della Rocca, dove mi sono preso una forte bronchite asmatica che mi porto ancora a distanza di 70 anni.
Buona giornata1
 

 


   Nel 1940 io non ero ancora nato perché sono del 1941, a Monselice, c’era una coalizione clerico-fascista che comandava e faceva  funzionare nel migliore dei modi, la macchina comunale. Non esisteva opposizione, la chiesa locale andava d’accordo con gli amministratori e con i proprietari terrieri piccoli e grandi dei dintorni.

   Il podestà era cattolico, si chiamava Annibale Mazzarolli, il quale il primo giorno del suo insediamento, non andò in municipio ma entrò in canonica. In seguito, Monsignor Luigi Gnata per il buon vivere, benedisse i gagliardetti fascisti e cantò il Te Deum in occasione dello scampato pericolo degli attentati al Duce. Monsignor Gnata era un prete buono e gli piaceva il ‘quieto vivere’, per questo motivo non era particolarmente legato a nessun tipo di politica ed era ben voluto dal Vescovo di Padova.

MARAMEO

 Questa è la storia che ricordo di quel tempo quando ero bambino. I nostri genitori ci avevano educati a non far del male e avere rispetto per tutto e tutti.
Ma eravamo anche ragazzi e ne combinavamo di tutti i colori. Per prendere per il naso qualcuno facevamo ‘Marameo’, con il dito grosso sulla punta del naso si muovevano le altre quattro dita, così diventava uno dei più simpatici scherzetti.
   Erano cose fatte senza malizia,c’era fame, ma non tristezza. Erano i tempi delle scarpe di legno (sgalmare) e dei geloni ai piedi che ci facevano piangere. Pochi di noi avevano le scarpe di cuoio e chi le aveva se le teneva per le feste. Quasi tutti portavamo i pantaloni rattoppati, cuciti dalle mamme che dicevano ‘ meio on tacon che on sbrego.
Con un pezzo di pane raffermo, stavamo delle ore seduti sul ponte a chiacchierare per cancellare la fame. Sognavamo di essere signori, di fare viaggi,di mangiare tanto e bene,di avere dei bei vestiti. Era bello sognare ad occhi aperti,inventare giochi o correre appresso alle ragazze e tirare  loro i capelli.

LE BANDE

   Da ragazzo ci piaceva giocare ed eravamo raggruppati in ‘bande’. Formate da gruppi di ragazzi di diverse zone del paese. Avevamo il nostro punto di ritrovo e la nostra capanna, costruita con rami d'albero e qualche straccio. Quando ci trovavamo, di certo non parlavamo di scuola, ma dei ragazzi degli altri quartieri, del luogo dove avevano la loro ‘capanna’, del come fare per fare delle incursioni. Nella nostra ci ritrovavamo a fabbricavamo archi e frecce, fionde, lance e spade. Ci inventavamo tutte le strategie necessarie per combattere il nemico. Noi della "banda del ‘Moraro’, eravamo ai ferri corti con quelli della ‘Piazza’, perché non ci facevano entrare sull'altura dietro la Chiesa di San Paolo, vicino alla Chiesetta di san Biagio, dove essi avevano costruito la loro capanna. Infatti quel posto era pieno di alberi e di rami, che potevano servirci per rattoppare la nostra capanna che avevamo costruito sull'argine del canale, vicino alla muretta ‘de a canoara’ in via Moraro. Non potendo andare a prendere i rami nella ‘cava della rocca’, eravamo costretti ad andare a prenderli nei campi delle valli, lungo la ferrovia, al ché la strada era più lunga, piena di buche e di sassi, molto spesso eravamo a piedi nudi e per andare in piazza c'erano i marciapiedi, invece andando ‘ ne e vae’   ci sbucciavamo i piedi ed eravamo costretti ad andare alla ‘pompa’ per lavarceli e disinfettarceli con l'acqua. A volte però, ci andavamo perché lungo i fossi, c'erano i pioppi che avevano dei rami adatti per fare delle belle e solide fionde, in stagione poi, passando davanti la cinta della ‘ ‘Mattei’, ci facevamo delle scorpacciate di glicini, così buoni, in special modo ‘el coresin’, dolce e saporito quando era appena maturo, questo era un frutto di stagione che a me piaceva moltissimo. Ma torniamo alle battaglie tra ‘bande’, c'era Enzo che a scuola, aveva fatto lo sgambetto a Paolo e per questo motivo volevamo vendicarlo. Un pomeriggio alcuni di noi assalivano ‘ i piassaroti’ muovendosi dalla vietta che porta alla chiesa di San Biagio  fra i ‘tre scalini’ e il  ‘bar Roma’; un'altro gruppo scavalcava la muretta, vicino al portone di ferro che entra nella cava a fianco della scalinata di San Paolo, cosicché li prendevamo tra due fuochi e la battaglia era vinta. A volte ci si scambiava anche qualche pugno e qualche graffio, oltre a quelli che ci facevamo arrampicandosi sulle mura, ma era divertente e alla sera, anche se mangiavamo poco, si dormiva bene lo stesso, perché eravamo stanchi dalle lunghe corse e dalle ‘lotte tra "bande’.

 

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