Carissima S. e blog, In occasione del 70° anniversario
della fine della II Guerra Mondiale, scrivo alcune mie considerazioni su questo
tragico evento che non mi ha visto protagonista, ma che ho vissuto da bambino.
Al riguardo ho fatto delle ricerche su internet e ho trovato dei documenti che
mi hanno fatto rivivere la mia povera infanzia. In particolar modo ricordo le
panche di fredda terra del rifugio nella Cava della Rocca, dove mi sono preso
una forte bronchite asmatica che mi porto ancora a distanza di 70 anni.
Buona giornata1
Nel 1940 io non ero ancora nato perché sono
del 1941, a Monselice, c’era una coalizione clerico-fascista che comandava e
faceva funzionare nel migliore dei modi,
la macchina comunale. Non esisteva opposizione, la chiesa locale andava
d’accordo con gli amministratori e con i proprietari terrieri piccoli e grandi
dei dintorni.
Il podestà era cattolico, si chiamava
Annibale Mazzarolli, il quale il primo giorno del suo insediamento, non andò in
municipio ma entrò in canonica. In seguito, Monsignor Luigi Gnata per il buon
vivere, benedisse i gagliardetti fascisti e cantò il Te Deum in occasione dello
scampato pericolo degli attentati al Duce. Monsignor Gnata era un prete buono e
gli piaceva il ‘quieto vivere’, per questo motivo non era particolarmente
legato a nessun tipo di politica ed era ben voluto dal Vescovo di Padova.
MARAMEO
Questa è la storia che
ricordo di quel tempo quando ero bambino. I nostri genitori ci avevano educati
a non far del male e avere rispetto per tutto e tutti.
Ma eravamo anche ragazzi e ne combinavamo di tutti i colori. Per
prendere per il naso qualcuno facevamo ‘Marameo’, con il dito grosso sulla
punta del naso si muovevano le altre quattro dita, così diventava uno dei più simpatici
scherzetti.
Erano cose fatte senza
malizia,c’era fame, ma non tristezza. Erano i tempi delle scarpe di legno
(sgalmare) e dei geloni ai piedi che ci facevano piangere. Pochi di noi avevano
le scarpe di cuoio e chi le aveva se le teneva per le feste. Quasi tutti
portavamo i pantaloni rattoppati, cuciti dalle mamme che dicevano ‘ meio on
tacon che on sbrego.
Con un pezzo di pane raffermo, stavamo delle ore seduti sul ponte
a chiacchierare per cancellare la fame. Sognavamo di essere signori, di fare
viaggi,di mangiare tanto e bene,di avere dei bei vestiti. Era bello sognare ad
occhi aperti,inventare giochi o correre appresso alle ragazze e tirare loro i capelli.
LE BANDE
Da ragazzo ci piaceva
giocare ed eravamo raggruppati in ‘bande’. Formate da gruppi di ragazzi di
diverse zone del paese. Avevamo il nostro punto di ritrovo e la nostra capanna,
costruita con rami d'albero e qualche straccio. Quando ci trovavamo, di certo non
parlavamo di scuola, ma dei ragazzi degli altri quartieri, del luogo dove
avevano la loro ‘capanna’, del come fare per fare delle incursioni. Nella
nostra ci ritrovavamo a fabbricavamo archi e frecce, fionde, lance e spade. Ci
inventavamo tutte le strategie necessarie per combattere il nemico. Noi della
"banda del ‘Moraro’, eravamo ai ferri corti con quelli della ‘Piazza’,
perché non ci facevano entrare sull'altura dietro la Chiesa di San Paolo,
vicino alla Chiesetta di san Biagio, dove essi avevano costruito la loro
capanna. Infatti quel posto era pieno di alberi e di rami, che potevano
servirci per rattoppare la nostra capanna che avevamo costruito sull'argine del
canale, vicino alla muretta ‘de a canoara’ in via Moraro. Non potendo andare a
prendere i rami nella ‘cava della rocca’, eravamo costretti ad andare a
prenderli nei campi delle valli, lungo la ferrovia, al ché la strada era più
lunga, piena di buche e di sassi, molto spesso eravamo a piedi nudi e per
andare in piazza c'erano i marciapiedi, invece andando ‘ ne e vae’ ci sbucciavamo i piedi ed eravamo costretti
ad andare alla ‘pompa’ per lavarceli e disinfettarceli con l'acqua. A volte
però, ci andavamo perché lungo i fossi, c'erano i pioppi che avevano dei rami
adatti per fare delle belle e solide fionde, in stagione poi, passando davanti
la cinta della ‘ ‘Mattei’, ci facevamo delle scorpacciate di glicini, così
buoni, in special modo ‘el coresin’, dolce e saporito quando era appena maturo,
questo era un frutto di stagione che a me piaceva moltissimo. Ma torniamo alle
battaglie tra ‘bande’, c'era Enzo che a scuola, aveva fatto lo sgambetto a
Paolo e per questo motivo volevamo vendicarlo. Un pomeriggio alcuni di noi
assalivano ‘ i piassaroti’ muovendosi dalla vietta che porta alla chiesa di San
Biagio fra i ‘tre scalini’ e il ‘bar Roma’; un'altro gruppo scavalcava la
muretta, vicino al portone di ferro che entra nella cava a fianco della
scalinata di San Paolo, cosicché li prendevamo tra due fuochi e la battaglia
era vinta. A volte ci si scambiava anche qualche pugno e qualche graffio, oltre
a quelli che ci facevamo arrampicandosi sulle mura, ma era divertente e alla
sera, anche se mangiavamo poco, si dormiva bene lo stesso, perché eravamo
stanchi dalle lunghe corse e dalle ‘lotte tra "bande’.
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