lunedì 31 marzo 2014

IL DIARIO CONTINUA

         Nella mia scuola c'erano solo bambini, le bambine andavano a scuola dalle suore. Nell'aula eravamo una trentina di ragazzi, c'erano anche dei ragazzi più grandi, cioè del 1939 e del quaranta, perché la guerra aveva loro impedito di frequentare la scuola, ma ce n' erano anche del 1942.  L'aula era grande e il soffitto molto alto, aveva dei grandi finestroni che guardavano il campo da calcio, da lì la maestra guardava i giocatori di pallone e fumava la sigaretta. Per alcuni mesi ci faceva fare le aste. I banchi erano di legno duro e sopra c'era il calamaio con l'inchiostro.
        Le ore non passavano mai, durante la ricreazione tutti i miei compagni mangiavano un frutto e del pane bianco, che tiravano fuori dalle loro cartelle di cartone marronne pressato, io avevo una sachetta di juta e dentro avevo un pezzo di pane nero che facevo presto a mangiare, poi rimanevo a guardare la bocca dei miei compagni e io degluttivo con loro le loro buone cose. Non vedevo l'ora che suonasse la campanella, ero sempre il primo ad uscire e correvo all'E.C.A. l'Ente Comunale di Assistenza dove mi mettevo in fila dietro ai grandi, e quando veniva il mio turno una cuoca mi metteva la pasta o la minestra dentro a una scodella, mi dava un pezzo di pane nero e qualche volta una scatoletta di tonno. Mi mettevo seduto ad una lunga tavola e mangiavo avidamente. Terminato il desinare, correvo al Convento dei Frati dove distribuivano la pagnotta di pane nero che mangiavo durante il ritorno a casa.
        Sono passati cinque anni, ho cambiato tanti compagni di classe e tanti maestri e maestre. Ricordo in particolare, un maestro buono, ma severo, che aveva sempre a portata di mano, un piccolo pezzi di canna di bambù, che lanciava addosso ai ragazzi distratti. Una volta l'ha gettata anche a me, ma mi sono abbassato e si è infilata nel calamaio del compagno che avevo dietro che si tutto sporcato d'inchiostro.

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